La tesi del governo è che con il 67% di spiagge libere non c’è scarsità di risorsa e si può evitare di applicare la Bolkenstein sulle concessioni esistenti
Il 33% circa delle aree demaniali delle coste, un terzo del totale, è in concessione. Il 67% delle coste italiane è dunque libero. Con questo dato si è concluso il lavoro del tavolo tecnico istituito a maggio presso la Presidenza del Consiglio per definire i criteri per determinare la sussistenza o meno della scarsità della risorsa naturale disponibile. La scarsità farebbe applicare la direttiva Bolkestein alle concessioni balneari.
Il dato con cui si conclude il lavoro del tavolo tecnico a Palazzo Chigi è per le associazioni balneari la conferma che la risorsa naturale disponibile non è scarsa, e quindi non si applica a questo settore la direttiva Bolkestein. Regole Ue che costringono a nuove gare, dal 2024 secondo le ultime decisioni del Consiglio di Stato, o dopo il 2024 secondo il rinvio previsto dal decreto Milleproroghe. L’orizzonte non è del tutto chiaro neanche a chi lavora nel settore. Intanto, da quanto fanno filtrare fonti di centrodestra, quella percentuale è il punto di partenza per avviare l’interlocuzione con la Commissione Ue. Le associazioni dei balneari chiedono di far proseguire il tavolo per mappare anche le coste di laghi e fiumi.
Il tavolo
Il tavolo è stato confermato dall’ultimo decreto Milleproroghe (che ha allungato la validità delle concessioni fino al 31 dicembre 2024) come strumento per procedere alla mappatura di tutte le concessioni, per verificare la quantità di spiagge già occupate e di quelle che ancora possono essere date in concessione. Il 67% delle spiagge può essere teoricamente oggetto di nuove concessioni, a fronte di un 33% che è già oggetto di titoli o di domande in corso. Sono i numeri chiave che saranno giocati a Bruxelles come carta estrema per evitare di mettere a gara tutte le concessioni, limitando le procedure solo ai tratti di costa liberi. A quel punto le concessioni già in essere, secondo i parlamentari della maggioranza che sostengono le posizioni dei balneari, potrebbero essere prorogate. È una tesi ardita alla luce dei precedenti della direttiva Bolkestein e non c’è piena condivisione nel governo.
I lavori sono partiti dall’acquisizione dei dati relativi ai rapporti concessori in essere e alla quantità e qualità delle risorse demaniali marittime, lacuali e fluviali disponibili. Successivamente, si è passati alla definizione dei criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto sia del dato complessivo nazionale sia di quello disaggregato a livello regionale e della rilevanza economica transfrontaliera.
La posizione della Corte di giustizia Ue
La Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-348/22 sul tema delle concessioni balneari ha chiarito che le concessioni di occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente. I giudici nazionali e le autorità amministrative sono tenuti ad applicare le norme pertinenti di diritto dell’Unione, disapplicando le disposizioni di diritto nazionale non conformi alle stesse.
Sib, tavolo sui balneari conferma la non scarsità della risorsa
«Nella riunione odierna abbiamo condiviso la relazione conclusiva che conferma quanto da noi sempre affermato sulla non scarsità della risorsa e, quindi, sulla disponibilità del demanio marittimo per nuove attività economiche». È quanto ha sottolineato Antonio Capacchione, presidente del Sindacato italiano balneari aderente alla Confcommercio, convinto che venga meno «il presupposto per la messa a gara delle concessioni demaniali marittime attualmente vigenti, così come chiarito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, da ultimo con la sentenza del 20 aprile 2023». «Abbiamo auspicato che questi dati, senza alcun indugio, vengano riportati alla Commissione europea per l’archiviazione della procedura di infrazione – ha continuato Capacchione – e suggerito, poi, la necessità e l’urgenza di un intervento normativo che impedisca l’avvio delle procedure di pubblica evidenza, delle concessioni demaniali vigenti, da parte degli enti concedenti, perché le stesse sarebbero solo foriere di un certo contenzioso, anche alla luce dei risultati del tavolo interministeriale. Abbiamo sottolineato, infine, che la sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, oltre ad essere stata smentita dai dati di fatto accertati dai ministeri interessati, non è, comunque, definitiva, in quanto pendente il ricorso alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite».
Fonte: Il Sole 24 Ore